Scultura: un'arte di artigianato e narrazione

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Apr 13, 2023

Scultura: un'arte di artigianato e narrazione

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"Sempre meno spesso incontriamo persone con la capacità di raccontare una storia in modo corretto." Così scriveva Walter Benjamin nel saggio del 1936 Il narratore, una malinconica riflessione sul superamento della tradizione orale. Benjamin pensava che l’ascesa dei moderni mass media – giornali, romanzi, radio, film – avesse sostituito connessioni più antiche e più profonde. Un tempo si conosceva il mondo dal vivo, dagli amici, dai parenti, dai viaggiatori. I loro racconti spesso ripetuti, fondati sull’esperienza collettiva e sulla saggezza condivisa, fornivano una melodia familiare che suonava sui ritmi quotidiani della vita e del lavoro. Nell’era moderna, tuttavia, questo tipo di scambio, personale e senza tempo, è stato sostituito da un flusso costante di informazioni e opinioni isolate.

Benjamin ha paragonato questa graduale cancellazione della narrativa comunitaria alla concomitante scomparsa dell’artigianato dalla sfera produttiva. Lo storytelling è una "forma artigianale di comunicazione", ha scritto. "E quest'arte va perduta quando le storie non vengono più conservate... Si dipana in tutte le sue estremità dopo essere stata tessuta migliaia di anni fa nell'ambiente delle più antiche forme di artigianato."

L'elogio di Benjamin per la narrazione aiuta anche a spiegare alcuni dei modelli chiave della storia dell'arte nel secolo scorso. Non è una coincidenza che l'astrazione sia emersa in concomitanza con le comunicazioni moderne, segnalando un altrettanto elevato distacco dal tessuto sociale. L’artigianato in sé non scomparve affatto durante questo periodo: anzi, giocò un ruolo cruciale nella formazione dell’arte modernista, in modi che sono stati riconosciuti solo di recente. (Da qui il rinnovato interesse per artisti attenti al materiale come Anni Albers, Sophie Taeuber-Arp, Toshiko Takaezu, Ruth Asawa e Lenore Tawney.) Anche così, il radicamento dell'artigianato nella tradizione vernacolare ha ispirato molti artisti contemporanei a cercarlo come un potente alternativa alla spersonalizzazione e all’alienazione.

Quando Martin Puryear è stato selezionato per rappresentare gli Stati Uniti alla Biennale di Venezia del 2019, ad esempio, ha risposto con una serie di opere che lo scrittore del Washington Post Philip Kennicott ha definito "decisamente significative, senza specificare quale significato si intendesse". In altre parole, le sculture di Puryear erano un po' come racconti popolari: pieni di implicazioni, senza traccia di didattismo.

"Liberty/Libertà", il titolo della mostra al Padiglione degli Stati Uniti, annunciava un impegno schietto con la grande narrativa nazionale. Puryear ha realizzato sculture in materiali resistenti come legno e metallo che ricordano copricapi storici in dimensioni notevolmente ingrandite, implicando un pensiero attivo sul passato. Lo spettacolo presentava versioni scultoree sia del berretto frigio, adottato durante l'era rivoluzionaria, sia di un berretto militare della Guerra Civile. Aso Oke (2019), una fusione in bronzo di un reticolo di legno alto 7 piedi, ha preso il titolo da uno stile di tessitura yoruba e la sua forma da un tradizionale cappello da uomo dell'Africa occidentale, simile al berretto frigio, forse facendo riferimento a individui che erano portati in America contro la loro volontà. Al centro dello spazio c'era un'opera elegiaca chiamata A Column for Sally Hemings (2019), una graziosa forma simile ad un vestito in legno scanalato, con un grande ceppo che pendeva dalla sua parte superiore a volute come una testa chinata.

Sebbene Puryear abbia sempre suscitato un diffuso rispetto, Venezia ha fornito una sorta di ratifica. Questo artista veterano, impegnato nell'artigianato in tempi in cui era decisamente in disgrazia, occupa da tempo una posizione insolita tra i principali scultori. La tendenza prevalente nella disciplina, in particolare a partire dalla svolta concettuale della fine degli anni ’60, è stata quella di fare affidamento su oggetti trovati o sulla fabbricazione esternalizzata, che sfuggono entrambi efficacemente alle sfide dell’abilità manuale della produzione indipendente e basata sullo studio.

Questo non vuol dire che l’outsourcing sia incompatibile con l’artigianato ai massimi livelli, come ha chiarito il recente sondaggio condotto da Charles Ray in quattro sedi, caratterizzato da un gioco ironicamente sofisticato con materiali, temi e scala. Tuttavia, l’idea che uno scultore possa impiegare anni a padroneggiare una tecnica tradizionale, e ancor meno a posizionarla al centro di una pratica artistica, è stata a lungo considerata eccentrica, campanilistica e persino reazionaria.